No, non si può crescere una generazione a distanza
Il punto è che non possiamo permetterci di perdere un altro anno scolastico.
La didattica a distanza può senz’altro aprire nuovi scenari integrativi ma sconta due problemi di fondo: è appesa alle disponibilità e all’iniziativa dei docenti – che molti presidi stanno inutilmente tentando di controllare obbligandoli a fare lezione dalle aule vuote, una scena grottesca e umiliante – e smarrisce la dimensione protettiva della comunità scolastica, tutto quello che sta intorno alla nozione, al capitolo o all’esercizio.
In più non raggiunge tutti, sconta cioè un forte ostacolo nel digital divide (familiare e infrastrutturale).
Senza dimenticare che c’è anche un altro tipo di dispersione scolastica, forse ancora più insidiosa. Quella cioè implicita che i tanto contestati test Invalsi (ma anche i sistemi internazionali di valutazione come i Pisa dell’Ocse) rendono lampante: una quota non trascurabile di studenti col diploma, infatti, non raggiunge neanche lontanamente i livelli di competenza di cui dovrebbe disporre dopo 13 anni di scuola.
Non difendere la scuola in presenza significa anzitutto approfondire questi drammi nazionali: abbandonare definitivamente per strada una generazione, quella che si troverà di fronte le macerie del prossimo decennio, infittirne anzi le fila e livellare ancora di più verso il basso la soglia di preparazione di chi riuscirà a terminare, fra chat e piattaforme assortite, genitori supplenti e messinscene al display, un anno già zoppo.
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