Didattica a distanza e smart working. Se nasce in famiglia la guerra dei Giga
In queste settimane l’emergenza sanitaria e le necessarie misure di “lockdown” hanno avvalorato l’assioma che il digitale, inteso nel senso più ampio del termine, non è esclusivamente una mera faccenda tecnologica, ma è fondamentale come servizio delle persone.
E, di conseguenza, sono venute alla luce grandi disomogeneità dovute all’annoso problema del digital divide
: chi risiede in zone con scarsa connessione, attivare lo smart working e la didattica a distanza per i figli diventa un problema a volte insormontabile.
Mentre alcuni centri del nostro Paese sono in gran parte cablati con la fibra ottica, in provincia e nelle periferie esistono ancora luoghi dove la velocità di connessione non permette un’interazione in tempo reale e quindi una fruizione sincrona; allora ci si affida alle connessioni dati. E comincia la guerra dei giga: perché un giovane dovrebbe "sprecare" la sua dotazione per la scuola o l'università, quando era abituato a streaming e videochat per uso personale?
Ma il digital divide è anche un problema di apparati, non solo di accesso ai contenuti: ci sono famiglie che non hanno la possibilità di garantire un dispositivo per ogni componente, sia per i genitori (smart working) che per i figli (didattica a distanza): se si hanno due o più figli, come spartire la dotazione in caso di contemporaneità?
Non tutte le famiglie hanno tablet e computer a disposizione per seguire la didattica a distanza e alcune non hanno nemmeno una connessione a internet fissa; la didattica a distanza può di conseguenza escludere alunni le cui famiglie hanno condizioni socio-economiche svantaggiate. Secondo recenti dati ISTAT sull’accesso a internet in Italia, il 27,4 per cento delle famiglie con almeno un membro minorenne non ha un collegamento a banda larga fisso.
Anche tra gli insegnanti c’è chi ha difficoltà con la connessione: non sono pochi i docenti che per la prima volta si ritrovano senza Giga prima della fine dell’abbonamento mensile.
E’ chiaro quindi che i numeri inizialmente forniti dal ministro dell’Istruzione sul potenziale accesso alla didattica a distanza va a cozzare con la reale possibilità, da parte degli studenti, di poter averne accesso.
Per fortuna il Decreto legislativo 18/2020 ha previsto lo stanziamento di 85 milioni di euro per garantire il diritto allo studio mediante l’utilizzo della didattica a distanza. La fetta più grande, settanta milioni, renderà disponibili agli studenti meno abbienti, in comodato d’uso, dispositivi digitali individuali per la fruizione delle piattaforme di apprendimento e per garantire la connettività nei territori in cui essa non è adeguata.
Molti genitori, poi, che sono a casa a lavorare, hanno figli piccoli che esigono la loro presenza non solo nello svolgimento degli compiti ma anche nell’utilizzo delle piattaforme; e con tutti questi vincoli diventa per forza di cose inconciliabile il lavoro agile con la formazione a distanza se entrambe non sono coordinate nel migliore dei modi.
E’ anche vero che sia le aziende che le istituzioni scolastiche non potevano prevedere in pochi giorni un piano strutturato di gestione della crisi, ma è giusto chiedersi cosa succederà se l’emergenza dovesse protrarsi e quali azioni occorrerà mettere in campo in caso di prolungamento della crisi.
Secondo Giovanni Biondi, presidente di INDIRE non si può replicare il modo in cui si fa scuola normalmente, con le lezioni frontali e seguendo l’orario che alterna le materie a seconda dei giorni della settimana, dato che gli studenti non possono passare tante ore davanti a un monitor; occorre ripensare certi metodi, ripensando a come gli strumenti digitali si possano essere utili per fare scuola.
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