Le ragioni del no alla balcanizzazione della scuola
Sono molte le obiezioni possibili all’intenzione di determinare un’autonomia differenziata in materia d’istruzione, più chiaramente detta “regionalizzazione” del sistema scolastico.
Sull’autonomia scolastica, da quando è stata introdotta, si possono fare molte considerazioni, valorizzandone alcuni aspetti, e denunciandone le storture.
Ma il punto è un altro: cosa ha caratterizzato, in questi decenni, in modo progressivo, l’intero sistema-scuola? Sicuramente la costante alimentazione di egoismi e competizioni.
La regionalizzazione alza il tiro. Per un verso alimenta la competizione tra un’area del Paese e le sue concorrenti, ma per altro – al fine di garantire uno standard elevato – introdurrà inevitabilmente ulteriori meccanismi valutativi (si legga: competitivi) al proprio interno.
Si chiama New Public Management, ed è una distorsione cognitiva che ha dato già i suoi discutibili effetti in altri settori della gestione pubblica.
Esiste però un altro elemento, in questa storia, più primordiale, che non ha nulla a che vedere con l’idea dell’efficienza (che pure caratterizza in senso forte lo spirito economicista dell’autonomia differenziata). Esiste, infatti, l’elemento della discriminazione antropologica.
L’idea di caratterizzare in modo locale la didattica, di limitare l’accesso all’insegnamento – in una regione – ai docenti provenienti da altre regioni, potrebbe avere un peso non solo nell’ideazione, ma anche nell’accettazione sociale di questo disegno politico.
Si tratta di un elemento arcaico, identitario, da non sottovalutare, soprattutto nella sua capacità – storicamente mai fortunata – di abbracciare la mentalità efficientista.
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