Scuola senza voti è realizzabile in una società che ci giudica sempre?
di Alvaro Belardinelli
Niente verifiche orali e scritte, niente stress da prestazione, né competizione tra gli alunni, né trucchi per copiare il compito dal compagno “bravo” (o da internet).
Ci sarà solo la valutazione finale, orientata in modo da valorizzare le capacità dei 41 alunni i cui genitori hanno aderito alla sperimentazione.
Così i bambini cresceranno insieme senza traumi, diverranno amici, impareranno come fosse un gioco e non dimenticheranno più quanto hanno imparato.
La pagella non sparirà del tutto, ma verrà consegnata solo a fine anno scolastico, quando i genitori si vedranno consegnare quella del primo quadrimestre e quella finale.
Una Scuola non più fondata sull’autoritarismo ma sull’autorevolezza del docente, professionista dell’istruzione, della cultura e dell’educazione, è certamente auspicabile.
Il problema si pone quando si pensa che una simile isola felice sorge in una società ancora fondata su principi diametralmente opposti: competitività, specializzazione, “meritocrazia” da “misurare” mediante prove “oggettive”, “portfolio delle competenze” che segue (e quindi marchia) l’individuo fino al suo inserimento lavorativo.
In una società del genere (molto lontana da quella società ideale cui la “Scuola senza voti” si richiama), abolendo le difficoltà non rischiamo, semplicemente, di rimarcare le differenze sociali esistenti tra chi ha genitori colti e chi non ne ha?
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